Per tutti è IL Padrino della House music. Colui che ha gettato il seme diventato poi una distesa fiorita di sottogeneri ed evoluzioni da 40 anni a questa parte.
Nato e cresciuto a New York, ha passato la sua adolescenza in compagnia di Larry Levan, andando in giro per la città in cerca di lavoretti durante il giorno e la sera facendo tappa fissa nei vari locali della Grande Mela: “Andavamo in tutti i locali di Brooklyn nel ’71, la maggior parte non aveva un dj. Magari qualcuno metteva dei dischi in un angolo ma non faceva i dj. Se si organizzava un party, io e Larry eravamo sempre presenti. Ormai tutti ci conoscevano in zona. Anche se eravamo solo ragazzi eravamo sempre i primi ad entrare in pista e dare il via alle feste”.

Entrarono a far parte del giro del Gallery, il club dove suonava Nicky Siano – dj già celebre al tempo – che colse l’occasione per farsi aiutare dai due ragazzi nell’allestire i parties, dandogli diversi compiti come gonfiare i palloncini o “animare” il punch e il cibo con qualche acido per rendere le serate più animate e intense.
In cambio di queste maestranze Nicky insegnava loro a mettere a tempo i dischi su una consolle e impianto vero. Lui è stato tra i primi dj a mixare i dischi in battuta per quache secondo non avendo al tempo alcun supporto tecnologico per manovrare la velocità dei dischi.
Le carriere da dj dei due amici si separarono, con Larry Levan al Continental Baths e Frankie al Better Days, dove potè imparare a leggere una pista da ballo e suonare tutte le settimane per circa 6 mesi. La sua prima residency non andrò particolarmente bene e tornò dall’amico fraterno, già divenuto una piccola celebrità nel locale, per aiutarlo come lucista e come dj di apertura delle serate al Baths.
La sua avventura come spalla durò per 3 anni suonando e aiutando nel locale 7 giorni su 7. Dopo l’addio di Levan diventò lui il resident dj del Continental Baths, sino alla chiusura del locale nel 1976.
Sempre grazie a Larry divenne il dj del Warehouse di Chicago, che in origine voleva proprio l’amico come pilota della consolle, ma che rifiutò immediatamente dato che non voleva cambiare città per nessun motivo (anche per la crescente notorietà che già aveva). Propose quindi Frankie, ancora una volta grato a Larry, che accetto a patto di poter rivedere l’impianto e lo stile del club secondo quelli che per lui erano le necessità vissute come dj e come clubber negli anni.
Nel 1977 aprì il locale con Frankie come maestro d’orchestra e in un paio d’anni la discoteca divenne la più famosa a Chicago. Per ispirarsi al Loft di New York (o per insufficienza di soldi) per i primi due anni Frankie visse all’interno della palazzina che ospitava il club, potendo divertirsi con tutti i gadget acustici ed luminosi che offriva il locale vuoto, e lavorare con maggior creatività alle serate successive.
L'origine del termine House music
Fu proprio grazie allo stile di Frankie e ai dischi suonati al Warehouse che i tanti appassionati in pista andavano la mattina dopo un party nei negozi di dischi in città per chiedere “la musica del warehouse”, divenuta poi la musica “warehouse”, abbreviata ne “la musica ‘house”. A furia di chiedere ‘house, ‘house, ‘house, alcuni negozianti iniziarono ad applicare sui dischi suonati da Frankie Knuckles l’etichetta “House music”, così da indirizzare direttamente la clientela alla scatola dei vinili desiderata.
Agli inizi non era la musica creata dalle drum machine con ritmi pulsanti, ma era un mix di disco music, funk, soul e gospel, che definirono poi lo stile produttivo del dj per tutta la sua carriera.
Verso la fine degli anni ’70 la disco music andò in crisi, divenendo così popolare da generare solamente brutte produzioni totalmente inadatte alle discoteche più underground. Così Frankie Knuckles iniziò a rieditare le parti migliori dei vecchi brani disco, tenendo e allungando le parti strumentali, rafforzando i bassi e velocizzando dove serviva maggior ritmo. Da quelle rilavorazioni iniziò la scintilla che diede il via alla House music: groove ripetutiti all’infinito, con una spinta maggiore per la pista da ballo.
Nel 1983 Frankie decise di lasciare il Warehouse, dopo che i proprietari iniziarono a gestire il club in maniera differente da come era stato pensato, raddoppiando il prezzo d’ingresso, smettendo di rinnovare gli interni e cercando di massimizzare solamente gli introiti a scapito del divertimento del pubblico. Inoltre erano sempre più frequenti episodi di rapine e risse dentro il club, che fecero si che il dj smettesse “con un club che non era più quello che aveva aiutato a far decollare”.
Aprì quindi il Power Plant e la scelta sul dj icona del nuovo club fu ovvia. Ormai la house music più seminale era nata e il nome di riferimento era solo uno: Frankie Knuckles.
Negli anni al Power Plant arrivarono anche dei giovanotti da Detroit ad ascoltare le prodezze del dj, tra i quali Derrick May e Chez Damier. Illuminati da quello che avevano sentito tornarono poi nella loro città natale per trasformare quel suono, fonderlo all’elettronica dei Kraftwerk e creare un nuovo genere: la Detroit Techno.
Lo stesso Derrick May nel 1985 vendette a Frankie la sua Roland 909, un sintetizzatore diventato poi iconico, che portò come nuovo strumento da suonare durante i suoi dj set al Power Plant, sia come intermezzo tra un brano e l’altro che come aggiunta melodica per dei remix da creare in diretta.
Nell’86 il Power Plant dovette chiudere, viste le enormi pressioni fatte dal locale rivale: il Music Box capitanato dal dj Ron Hardy, aperto proprio dagli ex proprietari del Warehouse, che scottati dall’abbandono di Frankie al tempo, fecero una guerra serrata per rubare pubblico e screditare il locale tentando in tutti i modi di far bloccare le serate con l’intervento della polizia.
Dopo quasi 15 anni passati in consolle, e molti altri in aggiunta in pista, si prese un periodo di pausa, lavorando sodo sulle sue produzioni musicali. Assieme a Jamie Principle creo capolavori come Your Love (uno degli inni assoluti della House Music di Chicago) e Baby Wants To Ride.
Il suo approccio alla musica house era differente rispetto a chi produceva il “jackin sound”, era sì orientato alla ritmica da ballo ma con ampi spazi per il canto vero e proprio. Uno stile che poi si è riflesso anche nei suoi dj set sempre ampiamente scolpiti da vere e proprie canzoni da far cantare al pubblico.
“Ho dovuto imparare a scrivere canzoni per differenziarmi dai producer da cameretta, magari geniali con le strumentazioni e fantastici in quello che creano, ma incapaci di creare un testo completo con un significato più alto.”